Gestione iniziale della terapia con insulina basale nel paziente diabetico
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R AT I C A C L I N I C A I N E N D O C R I N O L O G I A
Gestione iniziale della terapia con insulina basale nel paziente diabetico Francesco Giorgino1 · Sergio Di Molfetta1 · Irene Caruso1
Accettato: 21 giugno 2020 / Pubblicato online: 16 novembre 2020 © The Author(s) 2020
Introduzione Un buon controllo glicemico è essenziale per ridurre l’incidenza e la progressione delle complicanze micro- e macrovascolari nelle persone con diabete mellito di tipo 1 (DM1) e di tipo 2 (DM2). Tuttavia, gran parte dei pazienti mantiene un controllo insoddisfacente per lunghi periodi di tempo [1]. L’introduzione di un’insulina basale è una valida opzione per l’intensificazione del trattamento nelle persone con DM2. Tuttavia, definire una dose di partenza appropriata e fornire schemi per l’auto-titolazione dell’insulina basale è importante anche nelle persone con DM1 per raggiungere in sicurezza gli obiettivi di cura della malattia.
Diabete mellito di tipo 2 Le linee guida internazionali raccomandano l’impiego dell’insulina basale in pazienti affetti da DM2 che non raggiungono gli obiettivi di trattamento nonostante duplice/triplice terapia orale e/o con gli agonisti del recettore del GLP-1 o in presenza di grave scompenso glicometabolico con sintomi/segni di deficit insulinico (Fig. 1) [1]. In Italia, circa il 30% dei pazienti affetti da DM2 fa uso di insulina, da sola o in associazione ad altri ipoglicemizzanti (Annali AMD 2018). Le formulazioni di insulina basale oggi disponibili sono l’insulina intermedia NPH, sempre meno usata, e gli ana-
B F. Giorgino
[email protected]
1
Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche, Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi, Università degli Studi di Bari Aldo Moro, Bari, Italia
loghi ricombinanti dell’insulina umana di prima (detemir e glargine U-100) o seconda (degludec e glargine U-300) generazione. L’insulina intermedia NPH ha durata d’azione più breve rispetto alle altre formulazioni e il suo impiego è gravato da un maggior rischio di ipoglicemia. L’insulina detemir, invece, determina un minore incremento ponderale ma richiede a volte una doppia somministrazione giornaliera. Le insuline di seconda generazione sono caratterizzate da una durata d’azione più lunga, da un profilo farmacocinetico con picco meno evidente e da minore variabilità di azione da un giorno all’altro. Trial randomizzati controllati e studi di Real World Evidence (RWE) hanno dimostrato che, a parità di efficacia, l’impiego di insuline basali di seconda generazione consente di ridurre il rischio di ipoglicemia, che costituisce uno dei principali ostacoli all’intensificazione terapeutica [1]. La dose iniziale consigliata di insulina basale è di 10 UI/die (o 0,1–0,2 UI/kg/die), ma la prima prescrizione deve necessariamente essere seguita da una fase di titolazione, della durata di 8–12 settimane, durante la quale ci si prefigge di raggiungere il target personalizzato di glicemia a digiuno (FPG), solitamente compreso fra 80 e 130 mg/dl, evitando ipoglicemie [1].
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